Architettura a 4 ruote

L’AUTO, VIAGGIATRICE DEL TEMPO

Concepita inizialmente come mero mezzo di trasporto, l’automobile è diventata nell’arco di un secolo una costante essenziale nella vita dell’uomo. Non si tratta solamente di una soluzione con il fine di rendere determinati viaggi più celeri e confortevoli, si tratta di un oggetto che è stato testimone e riflesso del cambiamento tecnologico operato dall’essere umano. Inoltre, l’automobile deve per forza considerarsi uno degli indizi sociologici, estetici, filosofici e culturali fondamentali per la ricostruzione storica del XX secolo, l’epoca in cui la modernità ha preso definitivamente il sopravvento sulla vita di tutti noi, fino a trasformarsi in quotidianità. Una modernità che non si presenta come un concetto univoco, ma che ha attraversato i decenni del novecento, mutando all’insegna di ogni inedita considerazione economica, filosofica ed estetica che veniva elaborata a suo supporto o opposizione. E lo stesso è avvenuto per l’automobile, figlia primogenita e prediletta della modernità del secolo scorso.

L’ARCHITETTO DELLE QUATTRO RUOTE

Ovviamente, come la storia ci insegna, alla nascita di ogni invenzione corrisponde la nascita di una o più professioni ad essa legata. Ad oggi, tutti riconoscono nella figura del cosiddetto “automotive designer” un individuo capace, attraverso determinate concezioni estetiche, di conferire all’automobile una sorta di aurea di fascino, un qualcosa che trascende i concetti di eleganza e bellezza, che non è definibile ma che rende l’aspetto di un’auto istantaneamente magnetico. La riuscita della componente estetica nella produzione di una vettura richiede, quindi, l’apporto di un creativo che, allo stesso tempo, sappia tenere a mente la fattibilità del progetto nella sua interezza. Una necessità che ha decretato il successo e l’importanza dell’automotive design, e la quale ha permesso a firme storiche del design di dare il proprio contributo alla progettazione di modelli che hanno segnato un’epoca satura di dinamismo. Tuttavia, non sempre ingegneri e case automobilistiche sono riusciti a cogliere la genialità dietro un particolare disegno o a riconoscere l’unicità di un’idea, spesso giudicata precocemente come irrealizzabile. Si tratta di quei progetti che non hanno mai visto la luce del sole, di quei modelli il cui volante non è mai stato sfiorato dalla mano dell’uomo.

RAZIONALITÀ SU RUOTE

È il 1931 quando la collaborazione tra Walter Gropius e la Adlerwerke vorm. H. Kleyer AG, storico costruttore tedesco di vetture, sfocia nella realizzazione di un modello che non ottenne mai la popolarità inizialmente prevista. Essendo uno dei padri fondatori della Bauhaus, Gropius aveva applicato alla carrozzeria quei principi che erano ormai diventati propri della corrente di pensiero tedesca, favorendo il razionalismo ideativo e il funzionalismo stilistico. Il risultato è un’estetica di stampo classicista, di cui unica componente innovativa erano i sedili reclinabili e l’ideazione del logo anteriore.

SNOBBATA DAGLI INGEGNERI

In pochi riuscirebbero ad immaginare che una proposta progettuale firmata da Le Corbusier possa essere stata rifiutata quasi un secolo fa. La modernità per Charles Édouard Jeanneret-Gris è sempre stata come il canto della sirena; impossibile spezzare il suo incantesimo ipnotico. I disegni prodotti dal progettista francese sembrano fondere insieme i concetti stilistici dei vari periodi della sua architettura. L'angolo retto e le superfici piane delle architetture dal ‘20 al ‘30 e la liricità delle curve e delle superfici oblique di Ronchamp si fondono nei vari disegni della sua “voiture". Nel 1934, la Sia (Societés des ingenieurs de l’automobile) aveva indetto un concorso per la progettazione di un’auto dal costo di 8000 franchi. Riprendendo un progetto abbozzato sei anni prima, Le Corbusier propone il disegno di una vettura mai osservata prima: priva di predellini e parafanghi esterni aveva l’abitacolo largo quanto la carreggiata e poteva ospitare tre persone sul sedile anteriore e una dietro con il sedile ruotato di 90 gradi. Gli ingeneri snobbarono in maniera unanime il progetto, le cui caratteristiche saranno tuttavia riprese cinquant’anni dopo, come nella Matra Simca Bagheera del 1973.

3 Voiture Minimum. (Geometric analysis of the section of the Voiture Minimum using √2 modulation; Juan Manuel Franco Taboada.) Le Corbusier and Pierre Jeanneret, 1936. Fonte: da "Voiture Minimum: Le Corbusier and the Automobile." MIT Press, 2011. © Antonio Amado.

 3 Voiture Minimum. (Analisi geometrica della Voiture Minimum utilizzando √2 modulation; Juan Manuel Franco Taboada.) Le Corbusier and Pierre Jeanneret, 1936. Fonte: Da "Voiture Minimum: Le Corbusier and the Automobile." MIT Press, 2011. © Antonio Amado.

TROPPO AEREODINAMICA

Lo stesso trattamento riservato a Le Corbusier, fu ricevuto anche dalla Dymaxion di Buckminster Fuller, inventore della cupola geodetica. Una vettura che poteva essere considerata come la personificazione dell’aerodinamicità, con forma a goccia, disponibilità per sei persone e un motore posteriore. Le tre ruote rendevano questo “aereo senza ali” particolarmente maneggevole. Tuttavia, a causa della forma insolita e della instabilità alle alte velocità , Fuller non riuscì a trovare finanziatori per il suo progetto.

L'architetto Norman Foster ricostruì la macchina futuristica del 1933 - Foto: Gregory Gibbons
L'architetto Norman Foster ricostruì la macchina futuristica del 1933 - Foto: Gregory Gibbon

 

CONTINENTAL E ROSSO CHEROKEE

Persino Frank Lloyd Wright subiva il fascino delle quattro ruote e di linee poco ortodosse, come nel caso della Dymaxion. Sin dal 1909, anno in cui acquistò la sua prima macchina, una Stoddard-Dayton K5, l’architetto “terrorizzava” le persone del vicinato con guide spericolate, che fecero guadagnare all’automobile il titolo di “Yellow Devil”, Diavolo Giallo. Si narra che, dopo uno dei suoi apprendisti ammaccò una delle sue vetture, una Lincoln Continental, Wright, definita da Wright stesso come “la macchina più bella del mondo”, la fece modificare a suo completo piacimento. Il risultato fu un esemplare unico, dal tetto realizzato a metà , lasciando scoperti i due passeggeri frontali, con i due finestrini posteriori ridotti a due lunotti e caratterizzato da una tonalità di rosso personalizzata, battezzata “rosso cherokee”.

© Frank Lloyd Wright Foundation

Fonte: © Frank Lloyd Wright Foundation

FUNZIONALITÀ A CINQUE PORTE

Non è mai stato un segreto che Gio Ponti fosse un appassionato di automobili. Alla fine degli anni cinquanta, ormai considerato uno dei padri fondatori de design contemporaneo, Ponti stava dietro al volante di una Citroën Ds, ideata dallo scultore Flaminio Bertoni. Deciso a dare un contributo indelebile al mercato automobilistico, Ponti progetta nel 1953 una berlina a cinque porte, dalle linee tese e le forme squadrate, in totale contrasto con le fattezze bombate in voga all’epoca. Nonostante l’indiscussa funzionalità e l’elevata visibilità dell’abitacolo, la Fiat decise di rifiutarne la produzione. Il modello verrà, tuttavia, ripreso tredici anni dopo per la Renault R16.

Fonte: ©Daniele Russo, Editoriale Domus

Fonte: ©Daniele Russo, Editoriale Domus

 

DEGNA DI UNA MOSTRA

All’inizio degli anni settanta, Mario Bellini, in collaborazione con Cassina, presenta un prototipo per la mostra “Italy: the New Domestic Landscape al Moma di New York”.

Il “Kar-a-sutra” non fu mai considerato idoneo alla produzione, ma presentava alcuni aspetti interessanti che sarebbero stati di grande ispirazione per progetti futuri. Degni di nota sono l’abitacolo completamente configurabile grazie agli imbottiti di Cassina, il tetto alzabile o abbassabile per stare seduti o in piedi, la grande quantità di spazio a bordo. Inoltre, la sua linea a monovolume, oggi estremamente comune, esplose negli anni ottanta a partire dalla Renault Espace del 1984.

Mario Bellini – Kar-a-sutra, 1972

Mario Bellini – Kar-a-sutra, 1972
Autore articolo: Mattia Casareto
Illustrazione raffigura la Loewy House, Palm Springs, CA, United States. 1946 dell'architetto Albert Frey.